mercoledì 18 giugno 2025

Medici di Pronto Soccorso



«Se non si migliorano le condizioni di lavoro e non si adeguano gli stipendi, sarà molto difficile trovare medici disponibili ad andare a lavorare in Pronto soccorso per colmare i vuoti lasciati dai gettonisti» afferma Guido Quici, Presidente del sindacato dei medici Federazione CIMO-FESMED, commentando le dichiarazioni rilasciate questa mattina dal Ministro Schillaci in merito alla scadenza dell'uso dei medici gettonisti da parte di Asl e ospedali.

«Per il Ministro i medici devono essere assunti e lavorare a tempo pieno per la sanità pubblica, usando per le assunzioni quanto viene speso per i gettonisti – continua Quici -. Non possiamo che essere d'accordo: sono anni che chiediamo di spostare dalla voce di bilancio "beni e servizi" alla voce "personale" quanto speso per i gettonisti; ma forse dovrebbe essere il Ministro dell'Economia Giorgetti ad acconsentire a tale cambiamento. In ogni caso, le aziende non vogliono assumere perché un medico dipendente sarà a carico del SSN almeno per trenta anni, mentre un gettonista costa di più nell'immediato ma può essere mandato via quando si vuole, considerato che nei prossimi anni ci sarà un numero maggiore di specialisti rispetto ai pensionati, e quindi sarà più semplice trovare professionisti a costi inferiori».

«E oltre al problema economico – sottolinea il Presidente CIMO-FESMED -, oggi dobbiamo fare i conti con l'indisponibilità di medici che vogliano lavorare nei Pronto soccorso. "Se tanti giovani scelgono di fare i gettonisti sono convinto che rientrerebbero nel SSN", dice Schillaci. Peccato che non sia così: i gettonisti, oltre a guadagnare molto di più di un dipendente, scelgono le strutture in cui lavorare, quanti turni coprire, non rischiano denunce e possono prendersi il lusso di andare in ferie, se vogliono. I medici dipendenti che lavorano in Pronto soccorso invece sono malpagati, non hanno prospettive di carriera, hanno mani e piedi legati da vincoli burocratici inaccettabili, subiscono continuamente aggressioni e lavorano in un clima tossico che li porta a rassegnare le dimissioni e a voler cambiare vita. I Pronto soccorso oggi per i dipendenti sono gironi infernali: se non si risolvono a monte queste condizioni, non ci saranno più medici disponibili a lavorarci. Per questo chiediamo a gran voce l'emanazione dell'atto di indirizzo necessario ad avviare le trattative per il rinnovo del contratto collettivo nazionale e investimenti seri per migliorare le condizioni di lavoro del personale».

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lunedì 16 giugno 2025

Confronto Conferenza Regioni e OO.SS




È continuato questa mattina il confronto tra la Conferenza delle Regioni e i sindacati della dirigenza medica e del comparto sanitario volto ad individuare le misure necessarie a valorizzare il personale del Servizio sanitario nazionale. Le azioni proposte dalla Conferenza delle Regioni nella bozza di documento vanno dall'adeguamento dei salari ai percorsi di carriera, dall'esigibilità dei contratti al welfare: misure ritenute senz'altro condivisibili dalla Federazione CIMO-FESMED, ma solo ed esclusivamente se supportate da un adeguato finanziamento statale. In caso contrario, il documento sancirebbe dei principi destinati a rimanere lettera morta o a trasformarsi in un boomerang per i medici.

Poiché infatti è altamente improbabile che in questo particolare momento storico il Governo riesca ad aumentare le risorse destinate alla sanità, le Regioni propongono di superare l'impasse sbloccando il tetto al salario accessorio, che consentirebbe loro di stanziare maggiori risorse per il personale: «Dovremmo tuttavia trovare il modo di scongiurare il rischio di un'eccessiva regionalizzazione contrattuale - commenta Guido Quici, Presidente CIMO-FESMED –. Potremmo infatti trovarci dinanzi a importanti differenze sul territorio nazionale, con le Regioni più ricche pronte ad investire milioni di euro per offrire migliori condizioni economiche e attrarre professionisti, e le Regioni più in difficoltà dinanzi a un bivio: o consentire al proprio Servizio sanitario regionale di perdere ulteriormente medici e professionisti sanitari, oppure attingere ai fondi contrattuali dei medici per finanziare i principi previsti dal documento».

Tra questi, ad esempio, compare "la piena equiparazione dei dirigenti medici, sanitari e delle professioni sanitarie", considerato che attualmente per questi ultimi sono previste alcune voci retributive inferiori rispetto al resto della dirigenza. In assenza di risorse aggiuntive, il finanziamento di tale equiparazione potrebbe verosimilmente avvenire attraverso un prelievo forzato dai fondi dei medici. «Un'eventualità inaccettabile – dichiara Quici - poiché non possono essere sempre i medici a rinunciare ai loro soldi per finanziare le pur legittime aspirazioni di altre professioni».

Similmente, la Conferenza delle Regioni propone di incentivare l'adozione di percorsi di carriera per tutti i dirigenti, ma poiché le stesse Regioni hanno imposto un tetto al numero di unità complesse e semplici, oggi affidare una direzione di struttura ad un dirigente non medico significherebbe togliere un posto ad un medico. «Se si vuole davvero incentivare la carriera dei dirigenti occorre dunque eliminare gli attuali limiti», aggiunge Quici.

Si torna poi a parlare di "revisione e semplificazione dei profili professionali" introducendo "modelli organizzativi più flessibili e orientati al lavoro multidisciplinare": «Rischiamo seriamente di passare dal task shifting al task sharing, senza prevedere una formazione adeguata di tutti i professionisti coinvolti e, soprattutto, senza modificare i profili della responsabilità sanitaria, che allo stato attuale colpisce pressoché esclusivamente i medici – prosegue Quici -. Occorre invece definire in modo chiaro le competenze di ciascuna professione e affidare in modo esplicito ed esclusivo l'atto medico (dunque diagnosi, prognosi e terapia) al medico. L'anarchia delle competenze può mettere a rischio la sicurezza delle cure».

«Sono poi senz'altro apprezzabili – aggiunge – le proposte in tema di esigibilità dei contratti, ma la nostra precisa richiesta è l'emanazione dell'atto di indirizzo del CCNL 2022-2024, che non può essere vincolata alla condivisione del documento in discussione. Concordiamo sulla necessità di regolamentare l'affidamento della direzione delle strutture apicali agli universitari, che oggi penalizzano i medici ospedalieri, e rilanciamo la necessità di valorizzare economicamente il ruolo di tutoraggio degli specializzandi svolto dal personale dipendente del SSN. Infine condividiamo l'intenzione di stigmatizzare nel documento la grave situazione del personale dipendente della sanità privata accreditata, senza contratto da anni e vittima di dumping salariale».

«Ci auguriamo – conclude Quici – che i prossimi confronti con la Conferenza delle Regioni possano essere altrettanto proficui come quello odierno, e che nel testo siano apportate le modifiche necessarie a scampare i pericoli da noi denunciati».

@follower


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venerdì 6 giugno 2025



La riforma dell'accesso a Medicina non è di certo una rivoluzione, ma posticipa di qualche mese la selezione degli studenti. Il numero chiuso quindi, per fortuna, rimane, così come rimane il 'quizzone' all'ingresso, composto da domande a risposta multipla e a completamento, per le quali è anche assurdamente prevista la possibilità di dare la lode. Resta l'enorme problema di capire in che modo le università riusciranno ad accogliere i 70mila studenti che si iscriveranno al primo semestre, e che nei prossimi anni saranno inevitabilmente anche di più, visto che chi non supera il semestre filtro potrà iscriversi nuovamente a Medicina altre due volte. Insomma, temiamo che la riforma sia un bel pasticcio". Così all'Adnkronos Salute Guido Quici, presidente del sindacato dei medici Federazione Cimo-Fesmed, dopo la firma da parte del ministro dell'Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, del decreto che dà attuazione alla riforma in vigore già dal prossimo anno accademico 2025-2026.

"Ci preoccupa, infine - aggiunge Quici - l'aumento costante del numero di posti previsto a Medicina: se oggi infatti mancano i medici, nei prossimi anni potrebbero essercene troppi. Esaurita la gobba pensionistica, saranno sempre di meno i medici che andranno in pensione, e dove lavoreranno tutti questi nuovi giovani medici che oggi si intende formare? Rischiamo di far laureare decine di migliaia di medici che poi saranno disoccupati o che, come accade già oggi, ci ringrazieranno per l'ottima formazione ricevuta e si trasferiranno all'estero".

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