martedì 31 ottobre 2023

Sciopero

COMUNICATO STAMPA ANAAO ASSOMED E CIMO-FESMED


Manovra 2024, medici proclamano stato di agitazione e organizzano assemblee in tutta Italia


Roma 31 ottobre 2023  Gli articoli della manovra presentata alle Camere, relativi al taglio delle pensioni dei medici e al capitolo sanità, sono immutati rispetto alle bozze circolate sulla stampa negli ultimi giorni. Per questo, i sindacati ANAAO ASSOMED e CIMO-FESMED hanno proclamato formalmente lo stato di agitazione e, dopo aver condiviso con le altre organizzazioni sindacali di categoria il percorso da seguire, indiranno una giornata di sciopero nella prima data utile.

Nel frattempo, verranno organizzate in tutte le Aziende sanitarie assemblee sindacali nel corso delle quali verrà spiegato ai sanitari in procinto di andare in pensione i gravi danni causati dallamanovra: parliamo di un taglio dell'assegno pensionistico di almeno 50mila persone, che può arrivare fino ai 26.347 euro per ogni anno di pensione, per tutta la vita. 

I sindacati inviteranno dunque gli iscritti che hanno maturato i requisiti, e che subiranno una decurtazione maggiore della pensione, a presentare immediatamente la domanda di quiescenza, e di usufruire in questi ultimi giorni di lavoro di tutti i giorni di ferie accumulati nel corso degli anni di servizio. 

"Se, con questa manovra, il Governo intende spingere ulteriormente i medici ad abbandonare il Servizio sanitario nazionale, daremo con piacere loro una mano – commentano Pierino Di Silverio, Segretario ANAAO ASSOMED, e Guido Quici, Presidente CIMO-FESMED -.


 E quando i pazienti che si recheranno in ospedale troveranno ancora meno professionisti a curarli, sapranno chi ritenere responsabile. Ma noi, dinanzi a questo ennesimo voltafaccia, non intendiamo restare in silenzio, e siamo costretti ad iniziare un nuovo percorso sindacale meno disponibile a collaborare con le Istituzioni".


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mercoledì 25 ottobre 2023

Crisi dei Pronto Soccorso



La crisi dei pronto soccorso rappresenta solo il sintomo più evidente di una patologia. Per guarire dalla malattia, dunque, non ci si può limitare a trattare il sintomo, ma è necessaria una cura radicale. Utilizzando questa metafora, la Federazione CIMO-FESMED, audita in mattinata dalla Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati sulla situazione della Medicina d'Emergenza-Urgenza e dei Pronto soccorso in Italia, ha evidenziato dunque la necessità di riflettere sull'opportunità di una riforma del servizio di emergenza-urgenza che sia avulsa dal contesto generale in cui esso opera: al contrario, ogni proposta di riordino dei servizi di Emergenza sanitaria dovrebbe comprendere tutti i servizi integrati in filiera. Oggi, infatti, il pronto soccorso non è in crisi a causa di una sua inefficienza interna, ma poiché rappresenta il fulcro su cui si scaricano, amplificate, tutte le difficoltà dei servizi che ruotano intorno all'emergenza. L'analisi dei tagli subiti negli ultimi 10 anni da strutture e prestazioni è impietosa: 111 ospedali chiusi, 38.684 posti letto persi, 29.284 professionisti in meno nel SSN, 2,8 milioni di ricoveri ospedalieri in meno e 282,8 milioni di prestazioni non erogate sul territorio. In tale contesto di riduzione dell'offerta sanitaria, di riduzione del personale e di aumentati bisogni assistenziali che non trovano adeguata risposta, il pronto soccorso diventa allora l'unica struttura dove, in qualsiasi momento del giorno, della notte e dell'anno, nonostante le attese, il cittadino è certo di trovare una risposta al proprio bisogno di salute che, nella maggior parte dei casi, non ha il carattere dell'emergenza e dell'urgenza. È da qui, allora, che derivano le criticità denunciate quotidianamente: sovraffollamento, boarding, aumento dei tempi di attesa, delle aggressioni fisiche e giudiziarie, turni massacranti per il personale che fugge dai pronto soccorso appena ne ha la possibilità o, nel caso dei giovani medici, evita ad ogni costo di iscriversi alla Scuola di Specializzazione in Medicina d'Emergenza-Urgenza. Dunque, secondo la Federazione CIMO-FESMED (cui aderiscono ANPO-ASCOTI, CIMO, CIMOP e FESMED) se non si rafforza la sanità territoriale garantendole gli strumenti necessari per dare risposte adeguate ai bisogni differibili dei cittadini, se non si aumenta il numero dei posti letto nei reparti ospedalieri e non si assume personale, sarà pressoché impossibile superare l'attuale crisi del pronto soccorso intervenendo unicamente in questo settore, cui va in ogni caso restituita la propria mission riattribuendo all'emergenza le proprie funzioni. Al contrario, un rafforzamento generale del Servizio sanitario nazionale porterà ad una risoluzione spontanea di molti dei fattori distorsivi che incidono oggi sull'efficienza del pronto soccorso. In ogni caso, ciò non esclude la necessità, nell'immediato, di valorizzare le risorse umane garantendo loro sicurezza, giusta retribuzione e prospettive di carriera; di prevenire le aggressioni; di riformare il percorso di formazione specialistica post-laurea; di riconoscere il lavoro in area critica come usurante e introdurre un periodo di riposo biologico al personale che opera in emergenza. A regime, infine, si propone di valutare la definizione di un IV LEA dell'intero sistema di emergenza-urgenza con finanziamento dedicato.

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lunedì 23 ottobre 2023

Multa al medico che non ha rispettato orario di lavoro in pandemia,


CIMO-FESMED: "Violenza come un'aggressione in Pronto soccorso" Il sindacato: "Siamo allibiti. Ancora una volta la responsabilità delle inefficienze della sanità ricade sui medici. E intanto in Manovra si incentivano i medici a lavorare di più per abbattere le liste d'attesa. Nei prossimi mesi dobbiamo aspettarci valanghe di sanzioni amministrative?" 
Roma, 22 ottobre 2023 - Oltre il danno la beffa. La multa di 27.100 euro ricevuta dal direttore del Pronto soccorso del Policlinico di Bari per non aver rispettato l'orario massimo di lavoro in piena emergenza pandemica lascia allibiti. Con solo 26 medici a disposizione, rispetto ai 40 previsti dalla pianta organica, cosa avrebbe dovuto fare il dottor Vito Procacci? Chiudere il Pronto soccorso e lasciar morire gran parte di coloro che in quei mesi drammatici hanno trovato una possibilità di salvezza solo in ospedali danneggiati da anni di incuria e definanziamento? E cosa devono aspettarsi, adesso, tutti quei primari che, pur di garantire i servizi, a causa della carenza di medici e infermieri sono costretti a far lavorare il personale oltre l'orario di lavoro contrattualmente previsto? Sono loro che devono essere ritenuti responsabili di queste violazioni, oppure il dito andrebbe puntato contro le mancate assunzioni causate dal permanere di un anacronistico tetto alla spesa per il personale sanitario? Ricordiamo inoltre che solo qualche giorno fa il Governo ha varato la Manovra 2024 che prevede, per l'abbattimento delle liste d'attesa, incentivi a quei medici che decideranno di rimanere in ospedale oltre il proprio orario di lavoro. Rischieranno anche loro, tra qualche mese, di ricevere una multa come quella arrivata al dottor Procacci e ad altri due suoi colleghi primari per aver lavorato troppo? L'aumento delle tariffe e la defiscalizzazione delle prestazioni aggiuntive sono forse un contributo per pagare simili sanzioni amministrative? "Ancora una volta la responsabilità dell'inefficienza della sanità ricade sui medici – commenta Guido Quici, Presidente della Federazione CIMO-FESMED, a cui aderiscono le sigle ANPO- ASCOTI, CIMO, CIMOP e FESMED -. E questa multa ha in sé la stessa violenza di un pugno sferrato in Pronto soccorso da un paziente esasperato lasciato per giorni su una barella a causa dell'assenza di un posto letto disponibile o di una denuncia presentata dai parenti di un deceduto a causa di intollerabili tempi d'attesa. Solo che, questa volta, è lo Stato che scarica sui propri "eroi" la colpa dei propri errori. E questo è inaccettabile". "Se le Istituzioni non interverranno per sanare questa ingiustizia che in sé ha dell'assurdo, saremo costretti a chiedere ai nostri iscritti di non lavorare, in alcun caso, oltre il proprio orario di lavoro. E se così facendo interi reparti saranno costretti a chiudere e le liste d'attesa si allungheranno ulteriormente, i cittadini sapranno chi ritenere responsabile", conclude Quici.

mercoledì 18 ottobre 2023

Manovra



3,3 miliardi di euro in più per il Fondo sanitario nazionale per il 2024, che si aggiungono ai 2,3 miliardi già stanziati, sono senz'altro una buona notizia, che consentiranno tra l'altro, nella prossima tornata contrattuale, di finanziare aumenti considerevoli degli stipendi di medici e infermieri, anche se al di sotto del tasso inflattivo del triennio 2022-2024. Tuttavia, occorre evitare in tutti i modi che tali risorse vengano sprecate o, peggio, che si perdano tra i meandri della burocrazia e i farraginosi iter che devono superare prima di essere disponibili per le Aziende. Con ritardi che, spesso, impediscono l'utilizzo totale dei finanziamenti, come accaduto a circa i due terzi delle risorse stanziate dal Ministro Speranza, che risultano inutilizzate. La Federazione CIMO-FESMED (a cui aderiscono le sigle ANPO-ASCOTI, CIMO, CIMOP e FESMED) ribadisce inoltre ancora una volta che puntare esclusivamente sulle attività aggiuntive dei medici non può essere la soluzione alle liste d'attesa, causate dai tagli indiscriminati alle strutture, ai posti letto, al personale e quindi all'offerta sanitaria inflitti alla sanità pubblica negli ultimi 15 anni. Se non si riaprono gli ambulatori e non si aumenta il numero di posti letto, infatti, i risultati che potranno ottenere i medici che decideranno di dedicare ancora più tempo al proprio lavoro non potranno che essere modesti. In ogni caso, bisogna fare in modo che le risorse siano realmente finalizzate al recupero dei tempi di attesa, e non siano ad esempio utilizzate per coprire i turni di servizio nei reparti dove manca il personale necessario, perché in questi casi le Aziende devono ricorrere alle risorse dei propri bilanci. Risulta quindi essenziale prevedere un rigido controllo e un monitoraggio costante del flusso e dell'utilizzo dei fondi, in primis da parte dell'AGENAS ed eventualmente della Corte dei Conti, per evitare che risorse importanti per la salute dei cittadini finiscano nel dimenticatoio.

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nteressante Articolo !!! Toccherà in parte alle Regioni ripianare il rosso o con l'aumento delle tasse o col taglio dei servizi



 Sanità, senza coperture oltre sei miliardi (di euro) di spese: dei 5,6 miliardi del piano di Schillaci non rimangono neanche gli spiccioli… "Il prossimo anno per la sanità ci sono 5,6 miliardi in più", ha dichiarato il Ministro Schillaci nell'intervista rilasciata al nostro giornale. E i grandi numeri della manovra gli danno ragione perché ai 3,3 messi sul piatto quest'anno vanno sommati i 2,3 già stanziati dalla passata manovra. Sembra un bottino cospicuo ma non lo è. Anzi, la coperta è così coperta da lasciare scoperti oltre 6 miliardi di euro, quelli del buco per l'acquisto dei dispositivi medici recentemente denunciato dalla Corte dei Conti nella sua relazione alla Nadef. Vediamo perché, iniziando a sottrarre dal gruzzolo i soldi impegnati dalla manovra appena varata più la quota erosa dall'inflazione. Quest'ultima dal 2021 al 2024 si è mangiata qualcosa come 15,2 miliardi del fondo sanitario nazionale. Una stima che non viene da qualche centro studi privato ma dai tecnici dello stesso governo, visto che si trova riportata tra le pieghe del vecchio Def, il documento di programmazione economica poi aggiornato. Del resto il finanziamento per la sanità nel 2023 era di 131,7 miliardi e l'ipotesi più ottimistica è che l'asticella si alzi a 136 miliardi. Pur considerando che il caro vita è in frenata per il 2024 i maggiori costi supereranno come minimo i 2 miliardi. Ecco così bello che bruciato il vecchio stanziamento in più di 2,3. Veniamo ora ai 3,3 stanziati dalla manovra approvata lunedì. Di questi, si legge nel Documento programmatico inviato dal Governo a Bruxelles, i costi per il rinnovo dei contratti di medici e infermieri è salito di 200 milioni a quota 2,5 miliardi, che non basteranno comunque a coprire nemmeno lontanamente la quota di salario erosa dall'inflazione nel periodo 2021-23, gli anni in cui ha morso di più. Restano così solo 800 milioni. Di questi, come ha spiegato lo stesso ministro della Salute in audizione al Senato, 520 milioni andranno ad innalzare il tetto di spesa per i piani operativi regionali di recupero delle liste di attesa, che consentono alle regioni stesse di acquistare prestazioni al privato convenzionato. Sempre per abbattere le liste di attesa altri 280 milioni andranno a finanziare l'aumento da 60 a 100 euro per i medici e da 30 a 60 per gli infermieri dei compensi delle ore di straordinario impiegate sempre per recuperare l'arretrato. Ecco così esaurito il restante tesoretto di 800milioni. Restano scoperti i 360 milioni per pagare sempre al privato i nuovi Lea, i livelli essenziali di assistenza che entreranno in vigore il 1° gennaio prossimo e che ricomprendono anche la procreazione medicalmente assistita e le cure per diverse malattie rare. Ma da coprire c'è soprattutto la voragine da 6 miliardi di euro apertasi nei conti di Asl e ospedali nel quadriennio 2019-23 per i dispositivi medici, cose che vanno dalle sofisticare Tac e risonanze alle più economiche siringhe. E su come turare la falla non c'è cenno in manovra. Il dispositivo in vigore del cosiddetto payback prevede che metà dello sforamento del tetto di spesa, giudicato unanimemente sottostimato, vada coperto dalle regioni e metà dalle aziende produttrici. Che però stanno invadendo i Tar di ricorsi già solo per il miliardo relativo al quadriennio 2015-18. Figuriamoci se sono intenzionate a sopportare un salasso di triplo valore e che metterebbe a tappeto parecchie di loro. Soprattutto le più piccole, che in alcuni casi si sono viste presentare un conto persino più alto del loro fatturato. Non a caso il Presidente di Confindustria dispositivi medici, Massimiliano Boggetti, ha già dato l'allarme, paventando il rischio "che il comprato possa non fornite più tecnologie mediche tra 15 giorni", visto che a fra un mese scede il termine per pagare la prima tranche dei debiti pregressi. Ecco dunque superati ampiamente i 6 miliardi di buco. Che toccherà alle Regioni turare, alzando le tasse locali o tagliando i servizi.

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Toccherà in parte alle Regioni ripianare il rosso o con l'aumento delle tasse o col taglio dei servizi PAOLO RUSSO�� La STAMPA



 Sanità, senza coperture oltre sei miliardi (di euro) di spese: dei 5,6 miliardi del piano di Schillaci non rimangono neanche gli spiccioli…

"Il prossimo anno per la sanità ci sono 5,6 miliardi in più", ha dichiarato il Ministro Schillaci nell'intervista rilasciata al nostro giornale. E i grandi numeri della manovra gli danno ragione perché ai 3,3 messi sul piatto quest'anno vanno sommati i 2,3 già stanziati dalla passata manovra. Sembra un bottino cospicuo ma non lo è. Anzi, la coperta è così coperta da lasciare scoperti oltre 6 miliardi di euro, quelli del buco per l'acquisto dei dispositivi medici recentemente denunciato dalla Corte dei Conti nella sua relazione alla Nadef.
Vediamo perché, iniziando a sottrarre dal gruzzolo i soldi impegnati dalla manovra appena varata più la quota erosa dall'inflazione. Quest'ultima dal 2021 al 2024 si è mangiata qualcosa come 15,2 miliardi del fondo sanitario nazionale. Una stima che non viene da qualche centro studi privato ma dai tecnici dello stesso governo, visto che si trova riportata tra le pieghe del vecchio Def, il documento di programmazione economica poi aggiornato. Del resto il finanziamento per la sanità nel 2023 era di 131,7 miliardi e l'ipotesi più ottimistica è che l'asticella si alzi a 136 miliardi. Pur considerando che il caro vita è in frenata per il 2024 i maggiori costi supereranno come minimo i 2 miliardi. Ecco così bello che bruciato il vecchio stanziamento in più di 2,3.

Veniamo ora ai 3,3 stanziati dalla manovra approvata lunedì. Di questi, si legge nel Documento programmatico inviato dal Governo a Bruxelles, i costi per il rinnovo dei contratti di medici e infermieri è salito di 200 milioni a quota 2,5 miliardi, che non basteranno comunque a coprire nemmeno lontanamente la quota di salario erosa dall'inflazione nel periodo 2021-23, gli anni in cui ha morso di più.
Restano così solo 800 milioni. Di questi, come ha spiegato lo stesso ministro della Salute in audizione al Senato, 520 milioni andranno ad innalzare il tetto di spesa per i piani operativi regionali di recupero delle liste di attesa, che consentono alle regioni stesse di acquistare prestazioni al privato convenzionato. Sempre per abbattere le liste di attesa altri 280 milioni andranno a finanziare l'aumento da 60 a 100 euro per i medici e da 30 a 60 per gli infermieri dei compensi delle ore di straordinario impiegate sempre per recuperare l'arretrato. Ecco così esaurito il restante tesoretto di 800milioni. Restano scoperti i 360 milioni per pagare sempre al privato i nuovi Lea, i livelli essenziali di assistenza che entreranno in vigore il 1° gennaio prossimo e che ricomprendono anche la procreazione medicalmente assistita e le cure per diverse malattie rare.

Ma da coprire c'è soprattutto la voragine da 6 miliardi di euro apertasi nei conti di Asl e ospedali nel quadriennio 2019-23 per i dispositivi medici, cose che vanno dalle sofisticare Tac e risonanze alle più economiche siringhe. E su come turare la falla non c'è cenno in manovra. Il dispositivo in vigore del cosiddetto payback prevede che metà dello sforamento del tetto di spesa, giudicato unanimemente sottostimato, vada coperto dalle regioni e metà dalle aziende produttrici. Che però stanno invadendo i Tar di ricorsi già solo per il miliardo relativo al quadriennio 2015-18. Figuriamoci se sono intenzionate a sopportare un salasso di triplo valore e che metterebbe a tappeto parecchie di loro. Soprattutto le più piccole, che in alcuni casi si sono viste presentare un conto persino più alto del loro fatturato.

Non a caso il Presidente di Confindustria dispositivi medici, Massimiliano Boggetti, ha già dato l'allarme, paventando il rischio "che il comprato possa non fornite più tecnologie mediche tra 15 giorni", visto che a fra un mese scede il termine per pagare la prima tranche dei debiti pregressi. Ecco dunque superati ampiamente i 6 miliardi di buco. Che toccherà alle Regioni turare, alzando le tasse locali o tagliando i servizi.

Inviato da Mauro Marziali

lunedì 16 ottobre 2023

Liste di attesa

La strategia del governo per abbattere le liste d'attesa "è del tutto inadeguata. Basta vedere cosa è successo negli anni passati con simili strategie, che si sono rivelate inefficaci": così ha commentato Guido Quici, presidente del sindacato dei medici Federazione Cimo-Fesmed, a cui aderiscono le sigle Anpo-Ascoti, Cimo, Cimop e Fesmed. Lo scrive lo stesso sindacato in una nota. E' una manovra, osserva Quici, nella quale "per la sanità forse ci sono più soldi, ma non ci sono idee innovative capaci di risolvere un problema destinato a protrarsi nel tempo. Senza azioni coraggiose, che prevedano una riforma complessiva del Servizio sanitario nazionale e una revisione del rapporto tra territorio e ospedali, non vedremo alcun risultato tangibile". Per Quici è "inaccettabile continuare a chiedere ulteriori sforzi e impegno al personale sanitario dipendente, già stremato da condizioni di lavoro insostenibili, per garantire più prestazioni e quindi accorciare i tempi di attesa. Pensare che il premio di una defiscalizzazione delle prestazioni aggiuntive possa indurre i medici a lavorare ancora di più e a sacrificare in misura ancora maggiore la propria vita privata è pura illusione".

Inviato da Mauro Marziali