lunedì 27 giugno 2022

il Consiglio di Stato “boccia” l’Unità di degenza infermieristica

 

La sentenza è stata depositata venerdì: «Il personale medico non può operare "a distanza"». Cimo e Aaroi: «Provvedimento che farà giurisprudenza»

26 GIUGNO 2022

 «Siamo di fronte a una sentenza destinata a fare giurisprudenza e che rende giustizia, dopo sette anni, a un atto precipitoso e sconclusionato dell'Azienda ospedaliera di Perugia». Così il segretario regionale di Cimo Umbria, Marco Coccetta, e Cristina Cenci, presidente della Federazione Cimo-Fesmed dell'Umbria, commentano la sentenza del Consiglio di Stato con la quale, venerdì, confermando quanto deciso dal Tar dell'Umbria nel 2016 sono state bocciate le Udi, le Unità di degenza infermieristica. «È una sentenza storica – aggiungono – perché è stato definitivamente ripristinato, a livello nazionale, che spetta al medico la gestione del percorso clinico e terapeutico del paziente, nel rispetto del ruolo e delle funzioni del personale infermieristico».

Il caso La vicenda prende spunto da un provvedimento emesso dalla giunta regionale nel 2015 con il quale, di fatto, si legittima l'istituzione all'ospedale di Perugia di un'Unità di degenza ospedaliera con 12 posti letto. Una decisione criticata all'epoca dai sindacati dato che non appariva chiara la gestione del paziente, e dopo la quale è stato deciso di presentare un ricorso. «La precedente direzione aziendale – scrivono Cimo e Aaroi – aveva con arroganza portato avanti un'iniziativa che la categoria medica aveva fortemente criticato e sulla quale era intervenuta successivamente la Regione a dare il proprio placet; al di fuori però di quanto previsto da norme giuridiche nazionali e dalle stesse leggi regionali».

Cos'è l'Udi L'Udi si occupa essenzialmente della gestione dei pazienti, provenienti da altri reparti, nella fase post-acuta e che quindi presentano un quadro clinico stabile e un piano terapeutico definito. Il tutto con gli obiettivi di garantire un'adeguata qualità- dell'assistenza alla persone, favorire il recupero in vista del rientro a casa o in una struttura residenziale e ottimizzare l'utilizzo dei posti letto nei reparti per acuti.

Confusione Cimo e Aaroi all'epoca avevano parlato della confusione di ruoli e responsabilità tra medici e infermieri. Secondo il Consiglio di Stato, che ritiene i sindacati legittimati a ricorrere a tutela di un interesse pubblico, «il personale medico non può operare "a distanza", in quanto altrimenti ciò dovrebbe determinare una traslazione delle responsabilità, non consentita dall'ordinamento». «La gestione infermieristica – ricordano i due sindacati – ha una sua assoluta peculiarità che non può però prescindere dal percorso di diagnosi e cura che spetta esclusivamente al medico. Questa sentenza che fa giurisprudenza, permetterà in tutto il nostro paese di evitare situazioni simili che possono arrecare grave rischio alla salute del cittadino».

Un lungo percorso «Giunge finalmente al termine – commenta Alvaro Chianella, segretario regionale Aaroi – un lungo percorso volto a ristabilire la correttezza dei rapporti tra le varie professionalità presenti nel Servizio sanitario nazionale. Un sistema funziona se tutti svolgono il loro ruolo senza sconfinamenti. La sentenza del Consiglio di Stato conferma la specificità del ruolo medico e la non sostituibilità con altre figure. Questo era il principio in base al quale abbiamo iniziato questa azione legale e il vederlo riconosciuto non può che renderci soddisfatti e fiduciosi».



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Federazione Regionale Toscana

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Dopo anni di attesa, sembrerebbe finalmente sbloccata la partita delle risorse per i medici che si occupano delle certificazioni INAIL

CIMO Medici

Dopo anni di attesa, sembrerebbe finalmente sbloccata la partita delle risorse per i medici che si occupano delle certificazioni INAIL per infortuni sul lavoro e malattie professionali. Parliamo, per il triennio 2019-2021, di circa 75 milioni di euro già versati alle Regioni che adesso potranno arrivare ai medici, grazie all'intesa della Conferenza Stato-Regioni dello scorso 25 maggio relativa alla suddivisione delle risorse tra medici dipendenti (cui spetta circa il 75% della quota) e medici di medicina generale.

I 55 milioni di euro circa proveniente dall'INAIL e destinati ai medici che lavorano in Pronto soccorso e che si sono occupati delle certificazioni, tuttavia, non finiranno direttamente nella busta paga di chi ne ha diritto. «Speriamo che non occorra attendere altri tre anni per concludere l'iter - commenta GuidoQuici, Presidente del sindacato dei medici Federazione CIMO-FESMED (cui aderiscono ANPO-ASCOTI, CIMO, CIMOP e FESMED) -. I segretari aziendali CIMO-FESMED vigileranno con attenzione affinché le risorse vengano rapidamente trasferite dalle Regioni alle Aziende e, quindi, ai colleghi che dal 2019 al 2021 hanno redatto certificati INAIL senza percepire alcun compenso. Si tratta di un riconoscimento dovuto ai colleghi di Pronto soccorso, costretti a turni massacranti e a lavorare in condizioni drammatiche a causa della carenza di medici».


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martedì 21 giugno 2022

I: SANITA': 'FUGA DAGLI OSPEDALI', SONDAGGIO CIMO, '70% DEI MEDICI TOSCANI PRONTO A LASCIARE «Situazione drammatica, i pochi medici rimasti sono stremati. Basta soluzioni tappabuchi alla carenza di personale o gli ospedali saranno costretti alla chiusura»





Dr. L Preziuso  CIMO_FESMED


(Adnkronos) - Firenze 21 giugno 2022: Solo il 30% dei medici ospedalieri toscani, potendo scegliere, continuerebbe a lavorare in un ospedale pubblico. Il 28% fuggirebbe all'estero, il 21% sogna la pensione, l'11% preferirebbe lavorare in una struttura privata ed il 10% sta ponderando la possibilità di dedicarsi alla libera professione. Addirittura il 24% appenderebbe il camice al chiodo e sceglierebbe un'altra professione. È quanto emerge dal sondaggio condotto dal sindacato di categoria Federazione Cimo-Fesmed, a cui hanno aderito 236 medici di tutta la Toscana. «Sono numeri drammatici, ma che non ci stupiscono - commenta il neo-eletto presidente regionale della Federazione Lorenzo Preziuso -. Negli ultimi mesi hanno presentato le dimissioni decine di colleghi, stanchi di un lavoro estenuante che li espone ad aggressioni e contenziosi, che rende impossibile andare in ferie e usufruire dei congedi. I medici sono, sin da prima della pandemia, troppo pochi, costretti a lavorare in condizioni sempre peggiori, talvolta senza nemmeno rispettare la normativa sul riposo. Pronto soccorso e reparti sono ormai gironi infernali, da cui si esce solo dimettendosi o cambiando lavoro. Ma più colleghi se ne vanno, peggiore è la situazione per chi rimane a lavorare, incentivando da una parte dimissioni di massa e rendendo dall'altra ancora più complicato convincere i giovani ad entrare nel Servizio sanitario pubblico: non stupiamoci se molti concorsi vanno deserti o se i medici scelgono di lavorare negli ospedali dove le condizioni di lavoro sono meno gravose». «La situazione peggiore è nei Pronto soccorso e nel 118, dove gli organici sono dimezzati e non si riesce a coprire i turni - prosegue Preziuso -. Decine di postazioni medicalizzate di 118, a causa della carenza di medici, sono state sostituite da ambulanze infermieristiche senza tenere in considerazione le necessità assistenziali del territorio dove, come se non bastasse, sono state chiuse anche diverse postazioni di guardia medica. Ancora una volta si adatta il livello dell'assistenza alla disponibilità delle risorse e non il contrario, come sarebbe logico»







giovedì 9 giugno 2022

l Presidente del sindacato dei medici CIMO-FESMED: «Si dica onestamente ai cittadini che la tutela della loro salute e la sicurezza delle cure non interessano più a nessuno»



«Ma cosa studiamo a fare per 11 anni, noi medici, se poi ai non specialisti delle cooperative è consentito lavorare in ospedale e adesso agli infermieri lombardi è addirittura concesso di essere i supplenti dei medici di medicina generale? Ma cosa li teniamo a fare corsi di laurea di 6 anni e scuole di specializzazione di 4-5 anni se quello che vi impariamo non è ritenuto necessario per il nostro lavoro? Se la risposta alla carenza dei medici è assumere chiunque possa fare compagnia al paziente, senza considerare la sua formazione, trasformiamo il corso di laurea in Medicina in un corso triennale e aboliamo le specializzazioni. Risolveremmo i problemi di organico in un batter d'occhio. Tanto evidentemente la sicurezza delle cure e la tutela della salute dei cittadini non interessano più a nessuno». La provocazione è di Guido Quici, Presidente del sindacato dei medici Federazione CIMO-FESMED (cui aderiscono ANPO-ASCOTI, CIMO, CIMOP e FESMED), che non nasconde lo stupore e l'incredulità dinanzi alle dichiarazioni di ieri della vicepresidente e assessore al welfare della Lombardia Letizia Moratti sulle «sperimentazioni in corso presso alcune Asst» che riguardano «una supplenza degli infermieri sui medici di medicina generale».
«L'assessore Moratti – prosegue Quici - si è forse dimenticata che diagnosi e prescrizione delle terapie spettano al medico? Cosa dovrebbero fare gli infermieri-supplenti? E pensa davvero che ci siano infermieri disposti a rinunciare al loro ruolo fondamentale di assistenza al paziente per caricarsi di responsabilità cui non sono preparati? Sarebbe pronta a farsi visitare e curare da chi non ha le competenze adeguate, e spiegare ai cittadini che chiunque è meglio di nessuno? E di raccontare onestamente che la situazione in cui oggi si trova la Lombardia è frutto di anni di errata programmazione, e non di chissà quale disastro imprevedibile?».  
«Sulla salute delle persone non si scherza, e non si possono accettare questi giochi di pura demagogia. La Federazione CIMO-FESMED continuerà a difendere il ruolo dei medici da ogni attacco di questo tipo e in ogni ambito, anche se il disegno globale appare sempre più chiaro – conclude Quici -: abbassare sfacciatamente il livello della sanità pubblica per arrivare alla sua privatizzazione. Ma noi non siamo disposti a rimanere inermi a guardare».

Roma, 9 giugno 2022 -